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perché per ragioni di visibilità dovevamo lasciare aperti i finestrini. Indossavamo, ovviamente, le
nostre pellicce più pesanti.
Man mano che ci avvicinavamo alle vette gigantesche, nere e sinistre sulla linea di neve screpo-
lata e i ghiacciai che colmavano gli interstizi, notammo un numero sempre più grande di strane
formazioni regolari aggrappate ai pendii. Pensammo ancora una volta agli straordinari paesaggi a-
siatici di Nicholas Roerich. Gli antichi strati rocciosi smussati dai venti rispondevano in pieno alle
informazioni che ci aveva inviato Lake e dimostravano che quelle altissime montagne si erano in-
nalzate in un'epoca remotissima della storia terrestre: forse più di cinquanta milioni di anni. Inutile
domandarsi se fossero state ancora più alte, ma in quella regione straordinaria c'era qualcosa che fa-
ceva pensare a oscure influenze atmosferiche sfavorevoli ai cambiamenti e fatte apposta per ritarda-
re i normali processi climatici di disgregazione dei minerali.
Ma ciò che ci affascinava di più era il groviglio di cubi geometrici, bastioni e imboccature di ca-
verne che si aprivano sui fianchi delle montagne. Li osservai con un binocolo e scattai una serie di
fotografie aeree mentre Danforth pilotava; ogni tanto gli davo il cambio, ma le mie cognizioni di
navigazione erano quelle di un dilettante. In ogni caso Danforth ne approfittava per usare il binoco-
lo. Ci rendemmo conto che i misteriosi bastioni erano costituiti per la maggior parte da una leggera
e antichissima quarzite, diversa da qualunque formazione visibile sulla superficie generale della
montagna, e che la loro forma era assolutamente geometrica: il povero Lake non ci aveva preparati
a nulla di tanto straordinario.
Proprio come aveva detto, gli angoli erano smussati o sbriciolati da innumerevoli secoli di ero-
sione atmosferica, ma la loro eccezionale solidità e la durezza del materiale li avevano salvati dal-
l'estinzione. Alcune parti, specialmente quelle più vicine alla montagna, sembravano identiche alla
superficie di roccia circostante, e l'insieme ricordava le rovine del Machu Picchu nelle Ande, o le
antiche fondamenta di Kish portate alla luce nel 1929 dalla spedizione Oxford-Field Museum. Sia
Danforth che io avemmo l'impressione che le pareti fossero costituite da blocchi ciclopici separati,
proprio come era parso al compagno di volo di Lake, Carroll. La presenza di oggetti simili in un
ambiente come quello andava al di là delle mie capacità d'immaginazione, e in quanto geologo mi
sentii piuttosto mortificato. A volte le formazioni ignee hanno forme stranamente regolari, come la
famosa Strada dei Giganti in Irlanda, ma nonostante le ipotesi di Lake su eventuali coni fumanti era
evidente che la portentosa catena non aveva nulla di vulcanico.
Le strane caverne, nei pressi delle quali le misteriose formazioni sembravano più numerose, of-
frivano un altro e secondario enigma a causa dell'estrema regolarità delle imboccature. Spesso, pro-
prio come ci aveva informato il bollettino di Lake, erano quadrate o semicircolari, come se le aper-
ture originarie fossero state plasmate in modo simmetrico da una magica mano. Il loro numero e
ampia distribuzione erano notevoli, e facevano pensare che tutta la regione fosse crivellata di galle-
rie ricavate negli strati di ardesia. Le occhiate che potemmo gettare non ci permettevano di sondare
l'interno delle caverne, ma se non altro riuscimmo a stabilire che erano prive di stalattiti e stalagmi-
ti. All'esterno, e in prossimità delle caverne, il fianco della montagna pareva invariabilmente liscio e
regolare, e Danforth immaginò che le sottili spaccature e irregolarità causate dalle intemperie ten-
dessero a formare modelli bizzarri. Saturo com'era degli orrori e misteri scoperti all'accampamento,
accennò che le fessure ricordavano i bizzarri raggruppamenti di puntini sulle steatiti verdi, e dupli-
cati in modo tanto orribile sui tumuli di neve che coprivano le tombe dei sei mostri.
Ci eravamo alzati gradualmente fino alle alture pedemontane maggiori e procedevamo lungo il
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